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ARTICOLO
L’UGUAGLIANZA “VERA” E I DIRITTI DEI DISABILI.
Accade che alcune persone vengano al mondo colpite da un qualche tipo di limitazione psicofisica, che ne impedisce un pieno conformarsi a quella che viene definita genericamente “Normalità”. In altri casi una persona cosiddetta “normale”, a causa di un qualche incidente o malattia, perde questo status per essere omologato nella categoria degli “svantaggiati” o “disabili”. Si tratta di condizioni che rendono complicata l’esistenza della persona, perché ne inficiano, a volte, le azioni anche semplici nella vita quotidiana, presentando impedimenti spesso molto difficili da gestire. Si tratta di persone che necessitano più delle altre del supporto della comunità in cui vivono; ma di un supporto che non divenga sintomo di compassione, né di aiuto: queste persone necessitano di amicizia ed empatia. Non ignorare questi bisogni è un dovere degli esseri umani, che compongono le nostre società. Può trattarsi di un compito difficile: le persone svantaggiate non chiedono che di essere trattate in maniera eguale, di potere accedere ai medesimi luoghi dei normodotati, senza impedimenti, di discutere con noi dei temi che ci accomunano. Per questa ragione l’attenzione alle persone svantaggiate non dovrebbe esprimersi in un atteggiamento “protettivo-paternalista”, che insinui la “superiorità” dei normodotati, a volte causa di ulteriore disagio. Ciò che serve, è trattarli come qualsiasi altro compagno, ponendosi su un piano di parità; cosi si realizzerebbero l’eguaglianza e la libertà per come descritti, ad esempio, da N. Bobbio. Per il grande filosofo, infatti, i concetti di eguaglianza e di libertà sono proprio di tutti gli esseri umani, considerati distinti dagli altri esseri viventi proprio perché, in quanto “persone”, godono di libertà ed eguaglianza. Secondo Bobbio non si tratta di termini ambigui, quanto piuttosto di due parole ben distinte che indicano “uno stato : la libertà, un rapporto : l’uguaglianza” (Bobbio 2020: 8). Libertà ed Uguaglianza indicano così categorie proprie della persona, pienamente libera nella sua singolarità di “essere sociale” che intrattiene con gli altri individui della sua comunità, un “rapporto di uguaglianza” (Bobbio 2020: 9).
Rapporto di uguaglianza è un termine che indica un rapporto, appunto, interindividuale , che può essere complicato da cogliere, se non inserito nel giusto contesto che lo privi di una certa indeterminatezza. Per realizzare pienamente questo rapporto di uguaglianza, occorre infatti che venga letto alla luce di un confronto, con quello che è l’altro, accanto al quale il rapporto assume il giusto significato. È nel rapporto vivo con l’altro che l’eguaglianza diventa un “tipo di relazione”, che può allora ‹‹essere riempita dei più diversi contenuti›› (Bobbio 2020: 10). A questo proposito Bobbio scrive che si potrebbe dire di una proposizione “X é libero”, che è vera o falsa, ma lo stesso non si potrebbe dire “X è =”, che necessita di un altro soggetto/oggetto con cui misurare le qualità in oggetto. Cosi l’eguaglianza si pone nel cuore della società e delle sue strutture; accanto alle altre persone e degli enti di cui si sono circondate le persone stesse per governare le proprie vite, in un rapporto vicendevole. A proposito ancora Bobbio, osserva che potrebbe darsi il caso di una società in cui un solo uomo – il despota – è libero, ma non può esistere una società in cui un solo uomo è uguale.
Lo svantaggiato è un soggetto che non può realizzarsi al massimo delle possibilità dei normodotati. In una società che preferisce la “norma”, queste persone corrono l’ulteriore rischio di sentirsi “fuori dalla società” che le circonda e, quindi, alienati dal mondo. È la norma stessa che, assunta a criterio universale di conformazione, estranea loro, da se stessi e dagli altri. Il disabile rischia di vivere la norma come una esclusione, di emarginarsi di sentire venire meno il suo senso di appartenenza, con gravi ricadute anche sulle famiglie che, in certi casi, vivono la condizione della progenie, come una colpa: un’accusa della loro incapacità di generare figli conformi alla norma. Anche attraverso questi risvolti, la società ha finito con l’aggravare la condizione dei disabili a causa della ormai consolidata dottrina dell’efficientismo mediante la tecnica, che via via ha escluso le persone disabili, nonostante le leggi che tutelano loro. È stato osservato che l’inserimento dei Disabili nella società, in un rapporto egalitario, non può prescindere almeno da tre punti: una politica di solidarietà e riabilitazione, l’inserimento nel mondo del lavoro, l’intervento educativo. (Fellman 1989: 340,342; Benazzo 1996).
1 ) Una politica di solidarietà e riabilitazione: A partire dai numerosi dati sul numero e sulle problematiche relative al mondo della disabilità e riconoscendo che, per sviluppare una politica di inserimento reale, occorre puntare sugli aspetti psicologici e socioeconomici del problema, è necessaria una politica che renda i disabili il più possibile autonomi. È necessario quindi che lo Stato fornisca un giusto e continuo supporto economico a queste persone in modo che lo svantaggio, derivante da questa condizione, non incida ancor di più sulle possibilità di avere una vita dignitosa e serena. In questo modo l’interesse della collettività, andrebbe a sostituire l’obbligo, tradizionalmente appannaggio della famiglia, di provvedere in via esclusiva ai bisogni dei disabili.
2 ) Inserimento nel mondo del lavoro: Occorre perseguire l’inserimento dei disabili nel mondo del lavoro per facilitare l’inserimento nella collettività. Naturalmente tale inserimento deve essere supportato da una facilità di accesso ai luoghi di lavoro, il che concerne l’abbattimento delle cosiddette barriere architettoniche.
3 ) Intervento educativo: Un intervento educativo, relativo al problema sociologico delle persone svantaggiate, é caratterizzato dalle informazioni che fornisce, ma anche da tutta una serie di atteggiamenti e di comportamenti che, a volte, piuttosto che dare il via a un cambiamento della situazione, sclerotizzano il presente a causa delle metodologie applicate. L’integrazione concreta dei disabili nella vita scolastica, professionale e sociale, esprime significativamente il modo in cui una società accetta e compensa la “diversità”. L’esperienza ha dimostrato che per svolgere una azione efficace, occorre instaurare una collaborazione attiva tra disabili e comunità sociale, fra la collettività e gli istituti specializzati.
Per fortuna l’evoluzione tecnologica viene in aiuto delle persone disabili. Le mie proposte, da una parte vanno in direzione dello studio del come la tecnologia possa essere impiegata per queste persone, dall’altro si propone di studiare modelli di implementazione e d’integrazione del disabile nella società normo-dotata.
Da un paio di decenni, la tecnologia lanciata da una nota azienda italiana, permette, tramite l’EyTracking, di utilizzare l’interfaccia tastiera/monitor, attraverso il solo sistema visivo. Il solo movimento degli occhi consente di sostituire il cursore e la tastiera, in maniera da ridurre massimamente la difficoltà di accesso pratico alle tecnologie. Questa tecnologia funziona, grazie alla possibilità di selezionare parole intere e lettere dallo schermo, appunto con il movimento degli occhi; il che consente la possibilità di scrittura, la quale può essere anche convertita in “parola”, grazie a un software che presta la sua voce. Ciò consente di limitare le difficoltà delle persone con problemi motori. Il medesimo sistema permette un più comodo accesso ad internet e al consumo di file multimediali. Per quanto riguarda l’attività fisica, invece bisogna ricordare che molte persone disabili, non hanno rinunciato all’idea di poter fare sport. A tal proposito, anche le federazioni sportive si sono organizzate per facilitare la competizione degli atleti disabili. Si celebrano, in parallelo con le olimpiadi, le paraolimpiadi, in cui concorrono atleti non normodotati, in numerose competizioni. La domanda che intendo pormi ed approfondire è se, sia possibile creare un modello olimpico in grado di permettere la competizione fra i disabili e i normodotati, con un modello unificatore. Come osserva Viberti, queste persone non hanno bisogno di essere né compatite, né di essere circondate da eccessive attenzioni, atteggiamenti che possono finire per sottolineare la minore capacità fisica (Viberti 2012). Piuttosto si aspettano le stesse attenzioni ed atteggiamenti di stima che riserviamo generalmente al prossimo, oltre che un rapporto perfettamente paritario; il che include un paritario accesso ai luoghi pubblici e ai luoghi di lavoro. Solo un simile atteggiamento permette un arricchimento delle persone svantaggiate e di chi le circonda. Va da sé che nel processo di inserimento, ed è quanto intendo approfondire in questo mio articolo, si deve tenere conto, sulla scia di quanto affermato da Kant nella “Metafisica dei costumi”, che i diritti, sia in campo politico che sociale, si sviluppino secondo ragione; il che implica una divisione in “diritto naturale”, basato su principi a priori e “diritto positivo o statuario” che deriva dalla volontà del legislatore (Kant 1798). In quanto il diritto è costantemente mutevole, occorre quindi monitorare, costantemente, il rapporto fra i bisogni delle persone svantaggiate e l’occorrenza degli aiuti che, a vario titolo, il diritto offre loro.
D’altronde proprio il concetto di diritto è fondamentale quando si tratta di disabili, in quanto tale concetto, come per la dicotomia “liberta/uguaglianza” presuppone un’espressione interna e una esterna in cui esercitarsi. Come ricorda Mori, infatti, la persona presa come singolo, è un soggetto giuridico naturalmente dotato del diritto ad esprimere la propria libertà; è una valenza esterna della libertà, che coincide con la possibilità di agire in modo adeguato alla conformazione del diritto. Il concetto di diritto riguarda la relazione esterna e pratica, di una persona verso un’altra e si distingue dall’ambito etico che è espressione della libertà interna. Il singolo uomo è quindi un soggetto giuridico, naturalmente dotato del diritto di esercitare la propria libertà esterna e quindi compiere azioni “adeguate” o conformi al diritto (Mori 2008). Esiste anche un senso interno di libertà che coincide con la mancata compromissione delle nostre libertà per mezzo dell’agire altrui: qui nasce un problema che riguarda la compatibilità di tutte le libertà, quindi anche quelle dei disabili, da tutelare massimamente per evitare che la società con la sua “norma” ne precluda l’azione.
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BIBBLIOGRAFIA
- Benazzo Carlo, Panorama di attualità, Petrini, Torino 1996.
- Bobbio Norberto, Eguaglianza e libertà, Einaudi, Torino 2020.
- Fellman Anne, Handicappati: impariamo a vivere insieme. In La salute umana, Novembre-Dicembre 1989.
- Kant Immanuel, La metafisica dei costumi, Laterza, Bari 1996.
- Mori Massimo, La pace e la ragione, Kant e le relazioni internazionali: diritto, politica, storia, Il Mulino, Bologna, 2008.
- Viberti Piegiorgio, I soggetti veramente abili, in Oltre il duemila – Problemi e prospettive del mondo contemporaneo, Agorà, Torino 2012, p.173.
Dottore In Scienze Filosofiche
Giuseppe Piluso
(Articolo pubblicato su rivista specializzata: ”L’eco della scuola nuova”).