Hanno scritto di me… (2015 – 2017)
Giuseppe Piluso – Titolo Libro: “IL PROBLEMA DEL MALE IN LEIBNIZ”
Quando ci si accinge ad analizzare un libro di filosofia, nel caso specifico: Giuseppe Piluso, Il problema del male in Leibniz, Edizioni Nuova Santelli, si aprono sempre diverse ottiche di osservazione e svariati sono i parametri di possibile valutazione. Leibniz vede, nell’ordine del mondo, la libera creazione di Dio e si sforza di conciliare il meccanicismo con il finalismo, la nuova scienza della natura con i principi della metafisica.
Il concetto base su cui poggia tutta la progettualità filosofica di Leibniz può essere riassunto in: esiste un ordine, non geometricamente determinato e quindi necessario, ma spontaneamente organizzato e quindi libero. In definitiva Leibniz ricerca o realizza l’ordine in tuti i campi dello scibile umano. Per il filosofo tedesco Dio è colui che ha scelto, tra i vari ordini possibili dell’universo, il migliore o il più perfetto. Nella introduzione Giuseppe Piluso focalizza il metodo di lavoro che ha seguito: “Il ruolo che il problema del male riveste nel pensiero di un filosofo come Leibniz e che viene ad assumere all’interno del sistema da lui costruito attorno alla Teodicea, è alquanto ambivalente. Il quesito del Unde malum? e il binomio etico bene-male non costituiscono il perno del sistema leibniziano, eppure è proprio attraverso la non centralità della loro posizione che emergono due aspetti di fondamentale importanza, ma anche di segno opposto, della Teodicea di Leibniz: la razionalizzazione del suo intero sistema e l’irenismo della religione naturale. Il termine “teodicea” indica una ricerca volta a scagionare Dio dall’accusa di aver creato il male nel mondo”. E’ interessante questa posizione volta a scagionare Dio dall’aver creato anche il male. Intanto un dato di fatto: il male esiste ed è presente, o potenzialmente presente, ovunque e in ogni singolo individuo. In ogni caso, seguendo l’evolversi di questo pensiero, il problema del male, con tutta la sua ricchezza e la sua portata, assume un ruolo preminente, diviene il punto nodale attorno al quale si sviluppa l’etica leibniziana.
Nel mondo cristiano, il problema diventa luogo di scambio e di riflessione comune per filosofia e teologia, che formano la base di tutta la tradizione. Continua l’analisi di Piluso: “In un’originalità legata alla tradizione, qual è quella con la quale Leibniz affronta questo problema, emergono due elementi fondamentali per l’epoca e il contesto in cui lo stesso autore si trova a vivere e a operare: il ruolo e il potere della ragione e l’idea di un irenismo universale. La Teodicea, pur possedendo un punto d’avvio teologico, è in realtà una vera e propria opera filosofica, un sistema razionale, costruito attorno e a partire dalla Ragione suprema, ovvero, nella visuale leibniziana, Dio”. Efficace è contestualizzare e storicizzare l’epoca di riferimento come fa Giuseppe Piluso. Ogni pensiero è figlio dell’epoca di appartenenza e ne rappresenta il libero svolgimento in funzione futura. “Nella conciliazione tra fede e ragione, il problema del male viene osservato da una nuova angolazione: vi sono verità di fede inaccessibili alla ragione, questa però, non può non essere vista da Leibniz come un dono fatto da Dio all’uomo per vivere in un mondo che sia a tutti comprensibile. Il limite della ragione proviene, per Leibniz, dall’imperfezione umana, ma la sua forza e il suo potere fanno sì che un problema quale quello del male non venga lasciato all’irrazionalità. Tuttavia, l’aspetto più problematico del pensiero di Leibniz è stato quello di inglobare l’intero sistema della sua Teodicea in una completa razionalizzazione del reale che ha il suo vertice in Dio e che ha assorbito l’indagine etico-religiosa in una soluzione logico-matematica; il merito che si riconosce invece alla Teodicea leibniziana è certamente quello di rappresentare l’organicità del reale nell’armonia universale: la μάθεσις [matesis] e la ποίεσις [poiesis] quindi sono entrambe quelle vie che, in modo tra loro ben diverso, hanno permesso a Leibniz di accostarsi alla lettura della realtà e del mondo”. Lo scontro Fede e Ragione esplode e deflagra. Dio, la cui conoscenza è perfetta, è in grado di scorgere nella nozione di ogni sostanza la ragione di tutti i suoi predicati. Questo non vuol dire che la sostanza individuale sia necessitata ad agire in un determinato modo. Arriviamo cosi alla verità di fatto e alla verità di ragione. Il punto focale delle intuizioni filosofiche di Leibniz. Che sono ben rappresentate in questo affascinante saggio. “La più alta delle sue aspirazioni, che assomma in sé tutte le altre, fu lo stabilire nell’umanità una pace universale fondata sul sapere. L’irenismo leibniziano, che attraversò tutta la vita del filosofo e sfociò nella Teodicea, conservandone i pregi e i difetti fondamentali, porta con sé l’invito ad adoperarsi per fare in modo che la fede non rimanga cieca, ma grazie alla ragione, apra gli occhi e li apra anche sul mistero che la ragione può riconoscere, ma non sondare. Sotto quest’ottica di unità, il problema del male viene valutato come una parte del tutto, una parte che, pur nel suo aspetto negativo, contribuisce all’ornamento dell’insieme e, al tempo stesso, si riduce a una prospettiva parziale e inadeguata”. Tuttavia, nel riconoscimento del limite da parte dell’uomo, vi è insito un altro tipo di riconoscimento: quello di un’uguaglianza tra gli esseri razionali, appartenenti, al di là del proprio credo, a un universale regno divino. Giuseppe Piluso, con grande padronanza dell’argomento, fa suo il concetto che l’uomo non ha mai una nozione compiuta della sostanza individuale ed è costretto, perciò, a desumere dall’esperienza o dalla storia gli attributi che le si riferiscono.
“Leibniz, per indicare il problema del rapporto tra la giustizia di Dio e il male, intreccia temi di fondo della tradizione filosofica e teologica, quali l’amore di Dio, la provvidenza, la presenza divina e la libertà umana, e altri ancora, più propriamente filosofici, quali quelli riguardanti i concetti di contingenza e armonia, tra cui spicca, per spessore problematico, quello della libertà e della necessità”. Il problema della presenza e dell’origine del male configura lo scenario entro cui si dispiega la Teodicea leibniziana come dottrina della giustizia di Dio. In generale, il male proviene dalle idee, che Dio non ha prodotto mediante un atto della sua volontà; Dio dunque non è affatto autore delle essenze, secondo Leibniz, in quanto non sono che possibilità, ma non c’è niente di attuale a cui non abbia decretato di dare l’esistenza.
È questo concetto che soddisfa a un tempo la saggezza, la potenza e la bontà divine, senza tuttavia escludere la presenza del male. Leibniz inoltre non nega mai l’esistenza del male, anzi lo distingue, secondo la tradizione, in male metafisico, male fisico e male morale, ma ripete spesso che «il male delle parti è il bene del tutto», poiché lo stesso bene viene a coincidere con il bene comune, universale. Il problema del male in Leibniz, il bellissimo libro scritto da Giuseppe Piluso, è un nuovo pilastro della saggistica culturale per la ricerca della forza attiva che ha dentro di se l’Autore che si sforza di rappresentare il bene tentando di sconfiggere il male che certamente ha conosciuto, ma dotato di intelligenza, opera perchè agli occhi della gente possa sempre trionfare il bene. E possa sempre essere perseguito.
Giuseppe Piluso è un fine Autore, tendenzialmente positivo, dal linguaggio preciso e dai contenuti argomentati e sempre attuali. Per dirla con Leibniz per Giuseppe Piluso tutto è spirito e vita perchè tutto è forza. La forza delle idee, dell’Autore Giuseppe Piluso.
Maria Francesca Mancinelli
Corrispondente Agenzia di Stampa Ansa – Roma