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Giuseppe Piluso – Titolo Libro: “Toamo – La Dama, La Terra e Il Lene”
Recensione di: MARIO GRANDE
Incontrando per la prima volta il termine “TOAMO” si ravvisa prontamente un rimando a un gioco linguistico. La parola in questione incuriosisce e subito iniziano le ipotesi su quale possa essere la soluzione a quelli che Shakespeare chiamerebbe “pun”, ossia “giochi di parole”.
Avrà a che fare con la parola “tomo” visto che è un libro? No, l’ autore Giuseppe Piluso, giovane calabrese, spiega immediatamente al lettore da dove provenga il vocabolo “TOAMO”, crasi di un singolare e divertente errore di digitazione intercorso tra due fidanzatini in lite che volevano dirsi “Ti amo” per far pace.
“TOAMO” viene quindi issato a nuovo termine dell’Amore tra “persone che si vogliono bene in modo completo”, “tra due innamorati che credono fortemente nell’amore”, “nel rapporto di ciascun genitore con i propri figli”, “tra l’essere umano e Dio”, “tra persone di genere differente ma anche uguale”, insomma la sintesi perfetta secondo l’autore “tra le frasi ti voglio molto bene e ti amo”.
Il libro si divide in tre parti:
la prima, la più ricca, intitolata “La dama”, in cui l’autore spazia sui temi più svariati: l’amore in primis (ça va sans dire) con tutte le sue sfaccettature (dalle passioni alle tensioni, fino alle dediche gratuite mosse dal sentimento vero) e poi temi importanti come la disabilità, il bullismo, la violenza contro le donne, l’omofobia, la condanna all’uso delle droghe, perfino uno sguardo al rischio sismico della nostra terra, fino alla bellissima “C’è” (PENZIARU), poesia in vernacolo rendese, premiata con un terzo posto al concorso letterario “POESIA E BELLEZZA”;
la seconda parte, “La terra”, diventa uno splendido racconto fotografico che mostra “il bellissimo Sud” partendo da Napoli, e passando per Celico (paese della preSila cosentina), arrivando a Vibo, Pizzo(dove vediamo un maestoso bianco e nero del castello di Gioacchino Murat) e risalendo poi a Rende e Cosenza, coi loro centri storici, fino a Paola e il suo suggestivo santuario di San Francesco;
infine il libro si conclude con una terza parte intitolata “Il leone”: in essa il pensiero di Giuseppe non segue più il verso come in alcune strofe a rima baciata ma diventa scrittura libera, riflessione viva e attenta, che chiude l’opera mostrando ancora una volta ciò che più di tutto ha mosso la penna del giovane autore vibo-rendese ovvero uno sguardo sensibile colmo di bella umanità.
MARIO GRANDE,
insegnante di lingue straniere, speaker in radio e blogger.
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